La mia non è una presa di posizione politica. Non credo che questo sia il posto giusto per esprimere il mio “parere” o la mia propensione per una o l’altra parte.
Vorrei invece, come cerco di fare sempre, aggiungere alcune riflessioni o idee che possano unirsi a quelle degli altri. Magari soltanto fornire un altro punto di vista.
Sabato Giulio ha postato un commento sulla vicenda MPS: contestando il cosiddetto “aiuto di stato” alla banca e proponendo, invece, il suo fallimento. E dichiarando quindi il suo scetticismo sulle possibilità di miglioramento della nostra situazione politica: se tutto andrà avanti nello stesso modo, allora la colpa non potrà essere che nostra.
Alcuni commenti condividono, altri propongono la totale astensione dal voto o l’annullamento della scheda elettorale.
La pietra dello scandalo, come spesso avviene, è una banca. In difficoltà per operazioni spregiudicate e con la necessità di rinforzare il proprio capitale per evitare guai peggiori.
Che sia colpa degli amministratori della banca, sembra che non vi siano dubbi in merito.
Che vi sia anche qualche colpa di chi dovrebbe controllare, forse lo vedremo in seguito.
Ma lo sconforto di Giulio (se posso chiamarlo così) è nel fatto che, al contrario di qualsiasi altra azienda privata, nel caso delle banche subentra lo stato con un “aiutino”.
Perché una banca non può fallire, come qualsiasi altra azienda? Perché deve aiutarla lo stato, con soldi nostri?
Intanto si può incominciare a dire che, per banche e assicurazioni, non è previsto il fallimento. Prima c’è, obbligatoriamente, l’amministrazione straordinaria (di fatto gestita dalla Banca d’Italia) e poi, se le cose non migliorano, la liquidazione coatta amministrativa, cioè la vendita forzosa di tutto il patrimonio bancario. Che differenza c’è con il fallimento di una qualsiasi altra azienda? C’è una maggior tutela dei creditori, di qualsiasi tipo siano, esclusi gli azionisti e i loro parenti.
Questa procedura, in pratica, è prevista in quasi tutti i paesi occidentali. E’ norma comune il Europa.
Per pura informazione, in questo momento in Italia ci sono 8 banche in amministrazione straordinaria: se la loro situazione migliorerà, bene, altrimenti si passerà alla liquidazione coatta (cioè al particolare tipo di fallimento previsto per banche e assicurazioni).
Nel recente passato ci sono stati due nomi noti soggetti a queste procedure: il Banco Ambrosiano e la Banca Credieuronord. Dal Banco Ambrosiano è nato il Nuovo Banco Ambrosiano, che è poi diventato il mattone iniziale dell’attuale Gruppo Intesa-SanPaolo.
Quindi, le banche possono seguire la stessa strada delle imprese private: cambia il nome e cambiano le procedure, ma nella sostanza è sempre fallimento.
Ma, quando si arriva alla liquidazione coatta amministrativa, subentra un meccanismo di protezione dei correntisti, finanziato da tutte le altre banche e garantito dallo stato: ogni correntista viene rimborsato dei soldi che aveva sul conto corrente, entro un limite di 100.000 euro a correntista.
Quindi i quasi 4 miliardi che lo stato fornisce a MPS in questa occasione, potevano essere, invece, la garanzia a copertura dei risarcimenti per i correntisti. In pratica, 40.000 persone che avessero al minimo 100.000 euro sul proprio conto presso MPS o Banca Antonveneta o Biverbanca.
Se poi si tiene conto che il gruppo MPS detiene circa l’8% di tutti i conti correnti italiani, quei 40.000 soggetti non sembrano molti.
La liquidazione coatta avrebbe inoltre notevoli ripercussioni, naturalmente, sui posti di lavoro: circa 35.000.
Come in qualsiasi altra procedura di questo tipo, la prima attività è quella di recuperare i crediti: prestiti, finanziamenti, mutui? Scoperti di conto corrente concessi alle aziende? Operazioni di anticipo fatture, sempre per aziende, artigiani, piccoli imprenditori?
Governo e banca centrale, in quasi tutti i paesi del mondo, a fronte della crisi di una banca importante, cercano in tutti i modi possibili di trovare strade alternative al fallimento/liquidazione: acquirenti della banca in difficoltà, iniezioni di liquidità, aiuti di stato, nazionalizzazione. L’ultimo grosso fallimento di una grande banca è stato quello della Lehman Brothers, nato dalla crisi finanziaria statunitense e che ha dato un’accelerazione alla crisi mondiale. Poi ci sono stati, di fatto, altri grossi potenziali fallimenti, ancora negli USA, in Inghilterra, in Olanda, in Germania, eccetera, che sono stati gestiti dai governi in modo tale da non arrivare alla soluzione Lehman.
Nel caso MPS si può immaginare di trovarsi a un bivio: lasciar andare per la sua strada la banca, ipotizzando che poteva andare in crisi una bella fetta di tutto il mercato italiano (risparmiatori, lavoratori, piccole e medie imprese) con possibili effetti a catena; sostenere la banca, fornendole la liquidità necessaria a coprire le perdite.
E’ stata scelta la seconda strada, prestando a MPS quasi 4 miliardi di euro, a un tasso del 9% annuo.
E’ un prestito, non è un regalo.
I nostri soldi potevano essere utilizzati per sostenere risparmiatori, lavoratori, piccole e medie imprese in difficoltà per il fallimento MPS (sostegni a fondo perduto) o prestati a MPS a un tasso molto elevato.
Queste le due alternative.
Naturalmente, ognuno ha il diritto di pensare quale dovrebbe essere la soluzione più corretta, ma mi auguro di aver fornito alcuni elementi utili alla decisione.
Purtroppo, resta sempre la vecchia definizione: le banche sono delle brutte bestie, ma se non ci fossero, bisognerebbe inventarle.
Una nota personalissima sul dilemma: votare o non votare?
Per me la scelta è: votare.
Non tanto perché è un dovere, ma soprattutto perché è un diritto. E mai lascerei un mio diritto in mano a qualcun altro. Anche se fosse un diritto limitato, anche se fosse ridotto al minimo, come secondo me è adesso, non ci rinuncerei assolutamente. E, comunque, sceglierei: il migliore, se fossi in grado di definirlo; il meno peggio, se nessuno mi soddisfacesse completamente. Sceglierei, e sceglierò, cercando di acquisire le maggiori informazioni possibili su chi cerca il mio voto.
Secondo me, l’alternativa del non-voto è utopistica: qualcuno che vota c’è sempre e il mio non-voto diventa allora una delega in bianco. Mi sembrerebbe di aver ceduto il mio diritto a qualcun altro, a scatola chiusa. Inoltre, l’astensione abbassa il numero totale dei votanti e le diverse percentuali vengono conteggiate sui voti espressi. Lo stesso, purtroppo, avviene con i voti nulli o annullati. Questi entrano nei calcoli statistici, ma non nel calcolo di vincitori e sconfitti. Infatti si dice che il partito X ha ottenuto il Y% dei voti validi.
Ai fini della ripartizione dei seggi in parlamento, astensionismo e annullamento della scheda ottengono, attraverso vie diverse, lo stesso risultato: abbassano la soglia da raggiungere per ottenere la maggioranza.
Nessun commento:
Posta un commento