venerdì 25 gennaio 2013

TARES: solo svantaggi?

L’altra sera c’è stata la tanto attesa illustrazione della TARES, la tassa che sostituisce la vecchia TARSU e che dovrà servire a coprire anche i costi dei cosiddetti “servizi indivisibili”.
I dirigenti del CLIR hanno spiegato, a parole, con immagini e grafici, la composizione e il metodo di calcolo e, soprattutto, gli effetti della modifica.
Che, purtroppo e come era prevedibile, non sono certamente simpatici. Anzi.
Detto in parole povere e crude, le ipotesi prospettate dal CLIR prevedono un incremento medio del 70%: pagheremo mediamente quasi il doppio per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. E, non dimentichiamolo, anche per i già detti “servizi indivisibili”.
Proviamo a fare una sintesi di quello che è stato detto, partendo dalle caratteristiche della tassa.

1)    L’importo della tassa è destinato totalmente ai comuni. In cambio, lo Stato diminuirà, per un importo pressoché uguale, i trasferimenti a favore del comune. Se i conti sono fatti bene (e sono stati fatti bene nel passato), questo aspetto non dovrebbe comportare variazioni nel bilancio dei comuni.
2)    La tassa deve coprire totalmente i costi. In pratica, i comuni devono sapere quanto costa la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, senza escludere la pulizia delle strade. Questi costi devono essere coperti dagli incassi ottenuti attraverso la TARES. Non un euro in meno e neanche un euro in più. Nel passato avveniva che i comuni, non essendo obbligati alla totale copertura dei costi, vi provvedessero con ciò che, a vario titolo, entrava nelle casse municipali. Anche attraverso i trasferimenti che arrivano dallo Stato. Vi dice niente la parola Debito Pubblico? Visto che comunque i soldi arrivano comunque e sempre dai cittadini, non cambiano molto le cose. In teoria. Come stiamo toccando con mano.
3)    La tassa è divisa in tre parti. Una quota fissa, una quota variabile e una maggiorazione.
4)    Quota fissa. Semplificando, raccolta e smaltimento rifiuti comportano alcuni costi fissi (stipendi, strutture e mezzi) e alcuni costi variabili (quanti e quali rifiuti). La quota fissa deve coprire i costi fissi e viene calcolata, come prima, in funzione dei metri quadri (calpestabili!) del nostro appartamento, capannone, laboratorio, box, eccetera. Adesso non entriamo nelle differenziazioni fra rifiuti domestici e non domestici.
5)    Quota variabile. Serve a coprire quanti e quali rifiuti vengono prodotti. La TARSU non faceva questa distinzione. La TARES, invece, tiene conto di questo aspetto secondo il concetto che chi più produce rifiuti, più paga. Nel modo più semplice, senza andare a pesare i rifiuti prodotti, i comuni calcolano una media per persona. Quindi, una famiglia di due persone pagherà una “quota variabile” che sarà la metà rispetto a quella pagata da una famiglia di quattro persone. Con la Tarsu, invece, queste due famiglie pagavano come se entrambe fossero state di tre persone. Un single, in pratica, pagava anche una buona parte dei rifiuti altrui.
6)    Maggiorazione. E arriviamo finalmente ai famosi servizi indivisibili. Cosa sono? L’esempio più facile e immediato è “illuminazione pubblica”: è un servizio fornito dai comuni a tutti i cittadini, quindi come tale “indivisibile”. Altrettanto vale per la manutenzione delle strade. Ma se, per esempio, approfittando della riasfaltatura delle strade, io chiedo che venga riasfaltato anche l’accesso alla mia casa (suolo privato), giustamente il comune prende tutte le misure del caso e mi fa pagare quel servizio: è un servizio a “domanda individuale”. Ora è facile fare l’elenco dei servizi indivisibili. Ancora come esempio, il servizio di polizia locale, eccetera. Per questi servizi indivisibili è prevista una maggiorazione di 0,30 euro a metro quadro, che ogni comune può aumentare fino a un massimo di 0,40 euro/mq. Quindi, un appartamento di 100 mq, indipendentemente dal numero di abitanti, pagherà 30 euro (minimo) per la copertura dei servizi indivisibili.

Adesso che abbiamo visto sinteticamente le caratteristiche della TARES, possiamo approfondire alcuni aspetti.
Al punto 1 ho fatto riferimento al fondamentale aspetto che i conti siano fatti bene, come certamente avviene, e siano stati fatti bene nel passato. Quanto fatto nel passato è legato alla riduzione dei trasferimenti da Stato ai comuni. In pratica, lo Stato dice: “caro comune, poiché prevedo che con la Tares tu incasserai 100, questi 100 li elimino dai soldi che ti devo trasferire”. E che derivano, per esempio, dall’IRPEF e dalle addizionali comunali.
Diventa quindi ovvio che i conti “del passato” dovrebbero essere quanto più possibile simili ai conti del prossimo futuro. Se, nel passato, i costi sono stati tenuti più bassi dell’effettivo, la differenza sarà molto più evidente, sia in termini di pagamento da parte dei cittadini, sia in termini di bilancio comunale.
Purtroppo, e non per tutta colpa loro, sembra che la stragrande maggioranza dei comuni italiani non abbia dei conti adeguati.
Bisogna fare un po’ di storia e dovete avere un po’ di pazienza, perché è una storia intricata e paradossale. Ma è utile conoscerla, perché è istruttiva sul perché siamo arrivati oggi a dover sopportare una tassa che, per alcuni, sarà il doppio o anche più della precedente. Cercherò di essere il più semplice possibile. In teoria bisognerebbe partire dal 1931, ma vi (mi) risparmio e partiamo dall’istituzione della Tarsu.
a)    1993: istituzione della TARSU a decorrere dal’1/1/1994. I Comuni debbono istituire una tassa annuale da applicarsi in base a tariffa, secondo appositi regolamenti comunali, a copertura parziale (dal 50% al 70%) del costo del servizio stesso.
b)    1997: il Decreto Ronchi istituisce la TIA (Tariffa di Igiene Ambientale), che definiamo TIA/1, a decorrere dall’1/1/1999. Deve assicurare la copertura integrale dei costi ed è strutturata in una quota fissa ed una variabile (oramai siete esperti e non devo spiegarvi come). La soppressione della TARSU e la sua sostituzione con la TIA/1 doveva avvenire dall’1/1/99, ma poi è stata via via prorogata, fino al 2009! I diversi governi fra il 1999 e il 2009 hanno istituito un “regime transitorio” (dieci anni!) che ha permesso la coesistenza di Tarsu e TIA/1.
c)     2006: il D.Lgs. 152/2006 istituisce la Tariffa Integrata Ambientale, appunto la TIA/2, di fatto uguale alla precedente, ma che ha bisogno di un particolare regolamento, mai emesso. Quindi è soppressa la TIA/1, entra in vigore la TIA/2, ma si deve istituire un regime transitorio, perché non c’è il regolamento per la TIA/2. Nel 2008, si definisce che, in attesa di questo benedetto regolamento, si può utilizzare quello della TIA/1, soppressa.
In mezzo ci sono degli altri pasticci, tipo la distinzione fra tassa e tariffa, la possibilità o meno di emanare appositi regolamenti comunali, la contemporanea esistenza di regime transitorio fra TARSU e TIA e fra TIA/1 e TIA/2, la definizione di un “costo normalizzato” per ovviare al famoso regolamento mancante, la mancata proroga della validità della TARSU, che ufficialmente ha cessato di esistere alla fine del 2009, tanto che qualcuno contesta la legittimità dei pagamenti TARSU richiesti per gli anni 2010, 2011 e 2012 (mancando la legge, l’imposizione fiscale può essere contestata).
Infine, nel dicembre 2011, con decorrenza 1/1/2013, è istituita la TARES, con eliminazione di tutto ciò che è precedente.
E’ quindi chiaro che quei pochi comuni che hanno adottato TIA/1 o TIA/2 hanno già previsto, nei loro conti, la “copertura totale” dei costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, attraverso la modalità delle due quote. E la TARES è poco diversa e, per loro, comporta aumenti molto limitati.
Gli altri, che forse hanno ancora una TARSU che copre soltanto il 50% dei costi effettivi, si trovano oggi a dover applicare una tassa che è più o meno il doppio della precedente. Nel frattempo, come hanno rilevato anche i relatori del CLIR, i rifiuti sono aumentati.

Poiché incomincia a fumarmi la testa (e non solo!) e probabilmente anche a voi, per ora mi fermo qui. Alla prossima puntata.

Anzi, aggiungo una piccola nota, relativa alla potenziale illegittimità della TARSU per gli anni 2010, 2011 e 2012. L'ipotesi di chiedere la restituzione di quanto già pagato è paragonabile a ciò che succede quando si calpesta la testa di un rastrello: il manico picchia sul naso! Forse (forse) qualcuno riesce anche a ottenere il rimborso, ma quei soldi da qualche parte devono saltar fuori: non può rinunciarvi il comune e non può rinunciarvi neanche lo stato. Nel primo e nel secondo caso, siamo comunque sempre noi. Si potrebbe fare una semplice previsione: quanti più rimborsi si otterranno, tanto più dovranno aumentare altri balzelli. Ne vale la pena?

Nessun commento:

Posta un commento